Lo scopo di queste brevi note vuole essere quello di introdurre
per sommi capi le tecniche che stanno alla base della moderna
elaborazione numerica dei segnali.
Per fare questo ometterò volutamente di addentrarmi nelle
metodologie matematiche necessarie ad una giustificazione rigorosa
dei risultati praticamente applicabili, accennandone brevemente
solo nell'esempio che riporto: una realizzazione in forma numerica
dei filtri elettrici.
Anche se la maggior parte delle sorgenti di segnali produce
informazioni analogiche (cioè costituite da grandezze che variano
con continuità e che proprio nel loro variare recano
informazione), la tendenza in atto ormai da anni è quella di
"numerizzare" i segnali; ciò significa poterli trattare come
numeri per mezzo di strumenti sofisticati di elaborazione quali i
microprocessori, ma anche poterli trattare indipendentemente dalla
natura analogica del segnale stesso. Si pensi alla possibilità di
trasmettere, su una unica rete di comunicazioni, segnali audio,
video, dati (i quali non nascono neppure in forma analogica), una
volta che tutti quanti siano stati convertiti in sequenze di bit:
questa è la realtà attuale nelle reti ISDN (Integrated Services
Digital Networks).
Alla base di tutte queste possibilità sta lo sviluppo
tecnologico della microelettronica, che ha reso disponibili
circuiti integrati adeguati ad un costo altamente competitivo, e
lo sviluppo degli algoritmi e delle macchine di calcolo.
Il primo anello di una catena di DSP (che ricordo essere
l'acronimo di Digital Signal Processing) è la conversione
Analogico/Digitale; con questa operazione si campiona il segnale
originale analogico e lo si quantizza: in pratica ciò significa
associare ad ogni livello del segnale (ad esempio una tensione
elettrica) che ricada in un certo insieme predefinito di
intervalli ammessi, una configurazione di bit (una cifra binaria,
cioè) e rappresentare quindi l'informazione di partenza come una
sequenza temporale di numeri. Queste operazioni vengono di solito
affidate ad un singolo circuito integrato dedicato (detto ADC,
Analog to Digital Converter).
Una volta che il segnale è numerizzato, esso può venire trattato
matematicamente da un vero e proprio elaboratore elettronico (per
quanto specializzato) e quindi è possibile fargli subire tutte le
alterazioni che la teoria dei segnali ci insegna. Al termine della
catena di DSP, invece, ci può essere un elemento deputato alla
riconversione della sequenza temporale di cifre in una grandezza
che ancora varia con continuità: ad esempio nuovamente in tensione
elettrica; tale dispositivo è nuovamente un circuito integrato,
detto DAC (Digital to Analog Converter) che può anche non essere
presente qualora non interessi restituire l'informazione elaborata
ma solo effettuare delle misure su di essa.
Con i livelli di integrazione raggiunti correntemente, tutta la
catena di dispositivi necessaria a realizzare la suddetta
elaborazione viene racchiusa in un unico chip, che spesso prende
proprio il nome di DSP...
Potrebbe sembrare che le operazioni di conversione A/D e D/A
siano sempre possibili, cioè che qualsiasi segnale possa essere
convertito, elaborato e riconvertito in maniera "indolore" senza
particolari prerequisiti. Invece un risultato teorico fondamentale
(noto come teorema di Shannon sul campionamento) mette in evidenza
che affinché sia possibile la ricostruzione fedele di una
informazione a partire dai campioni raccolti durante la
conversione A/D (fase di "acquisizione"), occorre che la lettura
dei valori (che avviene necessariamente ad istanti differenti e
distanti T secondi l'uno dall'altro) venga fatta ad una frequenza
almeno doppia di quella massima contenuta nello spettro del
segnale originale.
Questa condizione costituisce una importante limitazione, dato
che si traduce nella necessità di disporre di circuiti integrati
capaci di lavorare a frequenze elevate.
Per portare un esempio: il segnale video che attualmente viene
trasmesso in Europa ha una larghezza di banda di oltre 5 MHz;
questo implica che la frequenza di campionamento del convertitore
A/D collocato all'ingresso del DSP deve essere superiore a 10 MHz,
il che oggi è perfettamente possibile. Solo alcuni anni fa,
convertitori così veloci erano altamente costosi...
Porto infine un altro esempio, relativo ad un segnale audio
monofonico di qualità telefonica, la cui banda è compresa tra 300
e 3400 Hz (ed assomiglia molto a quella di alcuni nostri
apparati): il campionamento avviene solitamente a 8 kHz, frequenza
decisamente bassa nell'ottica delle possibilità tecnologiche
attuali.
Due parole infine sul tipo di elaborazioni che la parte "di
calcolo" del DSP può operare sulle sequenze numeriche.
Molti di voi già sanno che un microprocessore, coadiuvato da un
po' di RAM e ROM, è in grado di compiere con molta efficienza
operazioni matematiche elementari (quali somme, prodotti. ecc.),
ma anche operazioni quali il ritardo nella evoluzione temporale
del segnale (basta depositarlo temporaneamente in memoria, e
successivamente estrarlo), oppure operazioni più complesse come la
Trasformazione di Fourier (niente paura, non vado oltre...) che
risulta di fondamentale importanza per modificare gli spettri dei
segnali trattati.
E' con questi metodi che negli apparati per alta fedeltà, che
quotidianamente utilizziamo, vengono realizzati effetti come echi,
riverberi, filtraggi, controlli di volume e quant'altro sul
segnale audio musicale, il tutto prima di riconvertirlo in
analogico, naturalmente.
I Filtri Trasversali
Per entrare un pochino più nel dettaglio delle tecniche di
elaborazione elettronica in forma numerica dei segnali, vediamo
come sia possibile realizzare ‘via software’ anche la sofisticata
operazione di filtraggio. La grande importanza che questo tipo di
elaborazione riveste, risiede nel fatto che tutte le tecniche di
mo-demodulazione, nonche’ di ricostruzione di segnali campionati
(e giù fino agli ‘effetti speciali’ che si possono ‘aggiungere’ ad
un apparato per renderlo semplicemente piu’ costoso...) si basano
sulla eliminazione (o alterazione...) di parte dello spettro del
segnale stesso. In questa breve trattazione, ci occuperemo degli
aspetti e delle caratteristiche principali dei filtri impiegati
nelle radiocomunicazioni, senza scendere tuttavia nei dettagli
rigorosi della teoria e dei metodi matematici, e vedremo in
particolare una realizzazione molto attuale ed efficiente (ma non
l’unica) di filtro: il filtro trasversale.
Tutti noi sappiamo che per trasmettere un segnale è utile
modulare una portante in qualche modo: in ampiezza, in fase, in
frequenza, se si tratta di portanti ‘continue’ (ad esempio
prodotte da oscillatori sinusoidali) oppure variando la durata,
l’ampiezza o la posizione di determinati impulsi. Quello che ne
risulta e’ un segnale nuovo che, se osservato nella sua evoluzione
temporale, rivela ancora l’andamento dell’informazione che lo ha
modulato; ma se ora questo segnale viene sommato ad altri (ad
esempio a dei disturbi) e si cerca di riconoscere, dall’andamento
del segnale somma, la primitiva informazione, ebbene, non siamo
più in grado di individuare quale essa sia ! Tutto ciò se ci
limitiamo ad osservare l’andamento dei segnali nel tempo (si dice
in gergo: nel dominio dei tempi...); esiste però un altro metodo
di studio dei segnali che si basa sulle informazioni che si
possono ricavare dalla conoscenza dei loro ‘spettri’ di fase e di
ampiezza. Del resto, esistono strumenti (gli ‘analizzatori di
spettro’) che permettono di visualizzare entrambi gli ‘spettri’ di
un segnale in ingresso, ed il vantaggio principale di questo nuovo
tipo di analisi sta nel fatto che se più segnali si ‘mescolano’
tra loro, è ancora possibile riconoscerli (sotto opportune
ipotesi) individualmente guardando lo spettro del segnale
risultante; ecco spiegato il perché della necessità di un altro
approccio (detto, in gergo, studio ‘nel dominio delle frequenze’)
allo studio dei segnali e della loro manipolazione.
Ma vediamo allora di chiarire cosa siano questi ‘spettri’ e che
ruolo giochino nella teoria dei filtri elettrici.
Esistono solide basi matematiche che dimostrano come un
qualunque segnale elettrico possa essere costruito sommando un
numero teoricamente infinito (ma praticamente finito, se si
tollera una certa approssimazione) di segnali elementari tutti di
forma sinusoidale; i segnali componenti (che nel caso di un
segnale risultante periodico vengono detti, come molti di noi
sanno, ‘Armoniche’) differiscono tra loro per la frequenza e per
lo sfasamento reciproco (vedi figura 1).
Nel caso pratico, si può ritenere allora che un segnale sia
costituito da un certo numero di sinusoidi aventi frequenze
comprese tra un minimo ed un massimo: l’insieme delle ampiezze di
queste sinusoidi costituisce il cosiddetto ‘spettro di ampiezza’
del segnale (è mia intenzione non considerare in questa semplice
trattazione lo spettro di fase, che comunque altro non è che
l’insieme dei valori degli sfasamenti delle varie sinusoidi).
Osserviamo allora la figura 2; in essa è mostrato un possibile
spettro di ampiezza di un segnale: è evidente che esso è composto
da 6 sinusoidi di ampiezza differente e caratterizzate da
frequenze diverse comprese tra fmin ed fmax ; la differenza tra
fmax ed fmin è detta ‘Banda’ del segnale. La cosa notevole, ora,
è che se al primo segnale se ne somma un secondo con banda diversa
(ecco le opportune condizioni di cui sopra), si ottiene uno
spettro del tipo di quello riportato in figura 3. Se i due spettri
non si sovrappongono, risulta ancora perfettamente individuabile
il segnale di partenza, ed allora basta un circuito capace di
eliminare tutte le armoniche con frequenze al di sopra della fmax
per riottenere lo spettro del segnale privo di disturbi. Un
circuito capace di compiere questa ‘soppressione’ è il nostro
Filtro!
Due parole ora sul metodo adottato dai telecomunicazionisti per
descrivere il comportamento di un circuito nei confronti dei
segnali in ingresso. Ogni circuito elettrico che sia ‘lineare’
(ovvero, semplificando, che risponda con una uscita proporzionale
all’eccitazione in ingresso, ed è il caso dei filtri) si può
caratterizzare tramite la sua ‘Funzione di Trasferimento’,
ovverosia una ‘formula’ che mi permette, moltiplicando il segnale
d’ingresso in un certo istante, di calcolare l’uscita
corrispondente. Ebbene, questa ‘formula’ dipende dalla frequenza
del segnale in ingresso nel senso che, ad esempio, segnali aventi
frequenze elevate non riescono a transitare verso l’uscita del
circuito mentre, all’opposto, segnali di frequenze più basse
vengono addirittura amplificati. Per mettere in evidenza questa
dipendenza, occorre ancora una volta descrivere il circuito ‘nel
dominio delle frequenze’!
Risulta poi comodo rappresentare l’andamento, al variare della
frequenza, della funzione di trasferimento in un grafico del tipo
di quello riportato in figura 4; in essa si può vedere come tutte
le componenti dello spettro di un ipotetico segnale d’ingresso che
si trovino fra le frequenze A e B vengano moltiplicate per 10 dal
circuito e presentate dunque amplificate in uscita, mentre altre
componenti dello spettro che si trovano o prima della frequenza C
o dopo la frequenza D vengono moltiplicate per 0 (e dunque
annullate) dallo stesso circuito. Se allora il segnale utile
avesse una ‘banda’ di frequenze compresa tra A e B, ed i disturbi
ad esso sommati fossero invece situati al di sotto di C o al di
sopra di D, si comprende come questo dispositivo sia in grado di
far ‘filtrare’ in uscita il solo segnale utile: abbiamo realizzato
un filtro! l’insieme delle frequenze comprese nel tratto AB è
detto ‘banda passante’ del filtro (che in questo caso è detto
Passa Banda), il tratto OC e quello da D in poi costituiscono
invece le Bande Attenuate. Particolare importanza riveste poi la
pendenza dei tratti CA e BD: più è ripida e migliore è il
comportamento del filtro (più netta è la separazione tra banda
attenuata e banda passante); purtroppo non è possibile realizzare
i tratti CA e BD perfettamente verticali, e pertanto un filtro
reale presenta sempre una banda intermedia che viene detta ‘di
transizione’ e che è la causa, ad esempio, della scarsa
separazione tra le stazioni vicine ricevute da uno dei nostri RX.
Siamo arrivati al dunque: come realizzare un filtro che si
avvicini il più possibile al comportamento ideale ? In passato,
questi circuiti venivano realizzati con componenti discreti
(transistori, resistenze, induttori e capacità) e le prestazioni
che se ne potevano trarre (anche a fronte di una complessità
circuitale notevole) erano piuttosto scadenti (data soprattutto la
scarsa ripidità dei tratti CA e BD del grafico della loro funzione
di trasferimento). Oggi, per di più, i segnali vengono
principalmente elaborati a livello digitale (e quindi una volta
campionati) mentre i circuiti classici trattano soltanto segnali
analogici. Ebbene, lo schema di principio visibile in figura 5
mostra l’architettura di uno dei più semplici filtri che si
possono realizzare con tecniche digitali (ovverosia che possono
venire realizzati via software a bordo di sistemi di DSP, anziché
con componenti discreti): il filtro trasversale.
Esaminiamo la figura 5. In essa si vede come il segnale x(t) in
ingresso attraversi in sequenza una serie di ‘linee di ritardo’,
il cui effetto è appunto quello di dare in uscita il segnale
ricevuto ma in ritardo di T secondi. All’uscita di ogni linea di
ritardo, il segnale viene prelevato, moltiplicato per un opportuno
coefficiente h, e sommato a tutti gli altri nel blocco sommatore
rappresentato in basso. All’uscita del blocco sommatore si ottiene
l’uscita y(t) del filtro. Si può dimostrare che la funzione di
trasferimento di un circuito simile, è data dalla formula
seguente:
nella quale f rappresenta la frequenza e j l’unità immaginaria.
La formula vista rappresenta ‘tutta’ la funzione di trasferimento,
nel senso che occorre calcolarne il modulo (si tratta infatti di
un numero complesso) e la fase per avere rispettivamente la
risposta di ampiezza e di fase (e quindi per poter costruire i
grafici simili a quelli di figura 4). Si può notare come, a
determinare l’andamento della funzione, concorrano i parametri h
(cioè i moltiplicatori presenti nello schema di principio di
fig.5), il ritardo delle linee T, il numero dei blocchi di ritardo
in cascata N. Agendo su queste grandezze, è praticamente possibile
realizzare qualunque andamento del grafico della figura 4 (tranne
quello coi tratti CA e BD perfettamente verticali, che è
impossibile anche a livello teorico!) e quindi realizzare tutti i
tipi di filtro desiderati (naturalmente occorre essere disponibili
ad aumentare la complessità del filtro, e cioè il numero N di
blocchi di ritardo...). Occorre prestare attenzione al fatto che
il grafico della caratteristica di ampiezza di un filtro siffatto
presenta un andamento periodico, ovvero la ‘forma desiderata’ del
grafico si ripete ad intervalli regolari (vedi fig. 6) la cui
ampiezza dipende dal tempo di ritardo T introdotto dalle linee.
Questo significa che non e’ possibile realizzare un passa banda se
non mettendo in cascata al filtro trasversale un secondo filtro
(ad esempio passa-basso) che tuttavia non necessita di
caratteristiche eccellenti; se infatti si progetta la parte
trasversale del filtro in modo tale da ottenere un diagramma
periodico in cui le varie bande passanti si ripetono ma risultano
abbastanza distanziate, allora con un semplicissimo passa basso RC
si riesce già a selezionare solo la banda passante desiderata
(vedi fig. 7).
Un’ultima annotazione per mettere in evidenza che questi filtri
sono ‘implementabili’ senza grosse difficoltà in sistemi DSP, dove
le operazioni mostrate nella figura 5 sono quanto di più facile un
sistema digitale riesca a compiere sui numeri: prodotti, somme,
ritardi nella loro sequenza. Una catena di elaborazione digitale
di segnali, infatti, oggi è composta da un circuito di
campionamento, da una sezione di elaborazione digitale dei
campioni (ad esempio un microprocessore opportunamente
programmato) e da un convertitore digitale/analogico per
restituire il risultato dell’elaborazione (se questo e’ di tipo
analogico). Risulta allora particolarmente vantaggioso intervenire
direttamente sui dati campionati laddove occorra un filtraggio
efficiente, e l’architettura vista ben si presta a questa
operazione.
Copyright 1995 by Diego Armari - IW4DN
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