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Sezione N° 4402 "Basso Ferrarese" LAGOSANTO (FE)

 

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Introduzione alla tecnica DSP


l'esempio del filtraggio


di Diego Armari, IW4DN
 
Lo  scopo  di queste brevi note vuole essere quello di introdurre
per  sommi  capi  le tecniche che stanno alla base  della  moderna
elaborazione numerica dei segnali.
 Per   fare  questo  ometterò  volutamente  di  addentrarmi  nelle
metodologie matematiche necessarie ad una giustificazione rigorosa
dei  risultati  praticamente applicabili, accennandone  brevemente
solo nell'esempio che riporto: una realizzazione in forma numerica
dei filtri elettrici.
 Anche  se  la  maggior parte delle sorgenti  di  segnali  produce
informazioni analogiche (cioè costituite da grandezze che  variano
con   continuità   e   che  proprio  nel   loro   variare   recano
informazione),  la  tendenza in atto ormai da  anni  è  quella  di
"numerizzare"  i  segnali;  ciò significa  poterli  trattare  come
numeri per mezzo di strumenti sofisticati di elaborazione quali  i
microprocessori, ma anche poterli trattare indipendentemente dalla
natura analogica del segnale stesso. Si pensi alla possibilità  di
trasmettere,  su una unica rete di comunicazioni,  segnali  audio,
video, dati (i quali non nascono neppure in forma analogica),  una
volta che tutti quanti siano stati convertiti in sequenze di  bit:
questa  è  la realtà attuale nelle reti ISDN (Integrated  Services
Digital Networks).
 Alla   base   di  tutte  queste  possibilità  sta   lo   sviluppo
tecnologico   della  microelettronica,  che  ha  reso  disponibili
circuiti  integrati adeguati ad un costo altamente competitivo,  e
lo sviluppo degli algoritmi e delle macchine di calcolo.
 Il  primo  anello  di  una  catena di  DSP  (che  ricordo  essere
l'acronimo   di  Digital  Signal  Processing)  è  la   conversione
Analogico/Digitale; con questa operazione si campiona  il  segnale
originale  analogico e lo si quantizza: in pratica  ciò  significa
associare  ad  ogni livello del segnale (ad esempio  una  tensione
elettrica)   che  ricada  in  un  certo  insieme  predefinito   di
intervalli ammessi, una configurazione di bit (una cifra  binaria,
cioè)  e rappresentare quindi l'informazione di partenza come  una
sequenza temporale di numeri. Queste operazioni vengono di  solito
affidate  ad  un singolo circuito integrato dedicato  (detto  ADC,
Analog to Digital Converter).
 Una  volta che il segnale è numerizzato, esso può venire trattato
matematicamente da un vero e proprio elaboratore elettronico  (per
quanto specializzato) e quindi è possibile fargli subire tutte  le
alterazioni che la teoria dei segnali ci insegna. Al termine della
catena  di  DSP, invece, ci può essere un elemento  deputato  alla
riconversione  della sequenza temporale di cifre in una  grandezza
che ancora varia con continuità: ad esempio nuovamente in tensione
elettrica;  tale  dispositivo è nuovamente un circuito  integrato,
detto  DAC (Digital to Analog Converter) che può anche non  essere
presente qualora non interessi restituire l'informazione elaborata
ma solo effettuare delle misure su di essa.
 Con  i livelli di integrazione raggiunti correntemente, tutta  la
catena   di  dispositivi  necessaria  a  realizzare  la   suddetta
elaborazione  viene racchiusa in un unico chip, che spesso  prende
proprio il nome di DSP...
 Potrebbe  sembrare  che le operazioni di conversione  A/D  e  D/A
siano  sempre  possibili, cioè che qualsiasi segnale possa  essere
convertito,  elaborato e riconvertito in maniera "indolore"  senza
particolari prerequisiti. Invece un risultato teorico fondamentale
(noto come teorema di Shannon sul campionamento) mette in evidenza
che   affinché  sia  possibile  la  ricostruzione  fedele  di  una
informazione   a   partire  dai  campioni  raccolti   durante   la
conversione A/D (fase di "acquisizione"), occorre che  la  lettura
dei  valori  (che avviene necessariamente ad istanti differenti  e
distanti  T secondi l'uno dall'altro) venga fatta ad una frequenza
almeno  doppia  di  quella  massima contenuta  nello  spettro  del
segnale originale.
 Questa  condizione  costituisce una importante limitazione,  dato
che  si  traduce nella necessità di disporre di circuiti integrati
capaci di lavorare a frequenze elevate.
 Per  portare  un esempio: il segnale video che attualmente  viene
trasmesso  in  Europa ha una larghezza di banda di  oltre  5  MHz;
questo  implica che la frequenza di campionamento del convertitore
A/D collocato all'ingresso del DSP deve essere superiore a 10 MHz,
il  che  oggi  è  perfettamente possibile. Solo  alcuni  anni  fa,
convertitori così veloci erano altamente costosi...
 Porto  infine  un  altro esempio, relativo ad  un  segnale  audio
monofonico di qualità telefonica, la cui banda è compresa tra  300
e  3400  Hz  (ed  assomiglia  molto  a  quella  di  alcuni  nostri
apparati): il campionamento avviene solitamente a 8 kHz, frequenza
decisamente   bassa  nell'ottica  delle  possibilità  tecnologiche
attuali.
 Due  parole  infine sul tipo di elaborazioni  che  la  parte  "di
calcolo" del DSP può operare sulle sequenze numeriche.
 Molti  di voi già sanno che un microprocessore, coadiuvato da  un
po'  di  RAM  e  ROM, è in grado di compiere con molta  efficienza
operazioni  matematiche elementari (quali somme, prodotti.  ecc.),
ma  anche  operazioni quali il ritardo nella evoluzione  temporale
del  segnale  (basta  depositarlo temporaneamente  in  memoria,  e
successivamente estrarlo), oppure operazioni più complesse come la
Trasformazione  di Fourier (niente paura, non vado  oltre...)  che
risulta di fondamentale importanza per modificare gli spettri  dei
segnali trattati.
 E'  con  questi metodi che negli apparati per alta  fedeltà,  che
quotidianamente utilizziamo, vengono realizzati effetti come echi,
riverberi,   filtraggi,   controlli di volume  e  quant'altro  sul
segnale  audio  musicale,  il  tutto  prima  di  riconvertirlo  in
analogico, naturalmente.
 
                       I Filtri Trasversali

 Per  entrare  un  pochino  più nel dettaglio  delle  tecniche  di
elaborazione  elettronica in forma numerica dei  segnali,  vediamo
come  sia possibile realizzare ‘via software’ anche la sofisticata
operazione di filtraggio. La grande importanza che questo tipo  di
elaborazione riveste, risiede nel fatto che tutte le  tecniche  di
mo-demodulazione,  nonche’ di ricostruzione di segnali  campionati
(e giù fino agli ‘effetti speciali’ che si possono ‘aggiungere’ ad
un  apparato per renderlo semplicemente piu’ costoso...) si basano
sulla  eliminazione (o alterazione...) di parte dello spettro  del
segnale  stesso. In questa breve trattazione, ci occuperemo  degli
aspetti  e  delle caratteristiche principali dei filtri  impiegati
nelle  radiocomunicazioni, senza scendere  tuttavia  nei  dettagli
rigorosi  della  teoria  e  dei metodi matematici,  e  vedremo  in
particolare una realizzazione molto attuale ed efficiente (ma  non
l’unica) di filtro: il filtro trasversale.
 Tutti  noi  sappiamo  che  per trasmettere  un  segnale  è  utile
modulare  una portante in qualche modo: in ampiezza, in  fase,  in
frequenza,  se  si  tratta  di  portanti  ‘continue’  (ad  esempio
prodotte  da oscillatori sinusoidali) oppure variando  la  durata,
l’ampiezza  o la posizione di determinati impulsi. Quello  che  ne
risulta e’ un segnale nuovo che, se osservato nella sua evoluzione
temporale, rivela ancora l’andamento dell’informazione che  lo  ha
modulato;  ma  se ora questo segnale viene sommato  ad  altri  (ad
esempio  a dei disturbi) e si cerca di riconoscere, dall’andamento
del  segnale somma, la primitiva informazione, ebbene,  non  siamo
più  in  grado  di individuare quale essa sia ! Tutto  ciò  se  ci
limitiamo ad osservare l’andamento dei segnali nel tempo (si  dice
in  gergo: nel dominio dei tempi...); esiste però un altro  metodo
di  studio  dei  segnali  che si basa sulle  informazioni  che  si
possono ricavare dalla conoscenza dei loro ‘spettri’ di fase e  di
ampiezza.  Del  resto,  esistono strumenti (gli  ‘analizzatori  di
spettro’) che permettono di visualizzare entrambi gli ‘spettri’ di
un segnale in ingresso, ed il vantaggio principale di questo nuovo
tipo  di  analisi sta nel fatto che se più segnali si  ‘mescolano’
tra   loro,  è  ancora  possibile  riconoscerli  (sotto  opportune
ipotesi)   individualmente  guardando  lo  spettro   del   segnale
risultante;  ecco spiegato il perché della necessità di  un  altro
approccio  (detto, in gergo, studio ‘nel dominio delle frequenze’)
allo studio dei segnali e della loro manipolazione.
 Ma  vediamo allora di chiarire cosa siano questi ‘spettri’ e  che
ruolo giochino nella teoria dei filtri elettrici.
 Esistono   solide  basi  matematiche  che  dimostrano   come   un
qualunque  segnale  elettrico possa essere costruito  sommando  un
numero  teoricamente  infinito  (ma  praticamente  finito,  se  si
tollera una certa approssimazione) di segnali elementari tutti  di
forma  sinusoidale;  i segnali componenti  (che  nel  caso  di  un
segnale  risultante periodico vengono detti,  come  molti  di  noi
sanno, ‘Armoniche’) differiscono tra loro per la frequenza  e  per
lo sfasamento reciproco (vedi figura 1).



 Nel  caso  pratico,  si può ritenere allora che  un  segnale  sia
costituito  da  un  certo  numero di  sinusoidi  aventi  frequenze
comprese tra un minimo ed un massimo: l’insieme delle ampiezze  di
queste  sinusoidi costituisce il cosiddetto ‘spettro di  ampiezza’
del  segnale (è mia intenzione non considerare in questa  semplice
trattazione  lo  spettro di fase, che comunque  altro  non  è  che
l’insieme dei valori degli sfasamenti delle varie sinusoidi).

 

Osserviamo  allora la figura 2;  in essa è mostrato un  possibile
spettro  di ampiezza di un segnale: è evidente che esso è composto
da   6  sinusoidi  di  ampiezza  differente  e  caratterizzate  da
frequenze diverse comprese tra fmin  ed  fmax ; la differenza  tra
fmax  ed fmin  è detta ‘Banda’ del segnale. La cosa notevole, ora,
è che se al primo segnale se ne somma un secondo con banda diversa
(ecco  le  opportune  condizioni di cui  sopra),  si  ottiene  uno
spettro del tipo di quello riportato in figura 3. Se i due spettri
non  si  sovrappongono, risulta ancora perfettamente individuabile
il  segnale  di  partenza, ed allora basta un circuito  capace  di
eliminare tutte le armoniche con frequenze al di sopra della  fmax
per  riottenere  lo  spettro del segnale  privo  di  disturbi.  Un
circuito  capace  di compiere questa ‘soppressione’  è  il  nostro
Filtro!
 Due  parole ora sul metodo adottato dai telecomunicazionisti  per
descrivere  il  comportamento di un  circuito  nei  confronti  dei
segnali  in  ingresso. Ogni circuito elettrico che  sia  ‘lineare’
(ovvero,  semplificando, che risponda con una uscita proporzionale
all’eccitazione  in  ingresso, ed è il caso  dei  filtri)  si  può
caratterizzare   tramite  la  sua  ‘Funzione  di   Trasferimento’,
ovverosia una ‘formula’ che mi permette, moltiplicando il  segnale
d’ingresso   in   un   certo  istante,   di   calcolare   l’uscita
corrispondente.  Ebbene, questa ‘formula’ dipende dalla  frequenza
del  segnale in ingresso nel senso che, ad esempio, segnali aventi
frequenze  elevate  non riescono a transitare verso  l’uscita  del
circuito  mentre,  all’opposto, segnali  di  frequenze  più  basse
vengono  addirittura amplificati. Per mettere in  evidenza  questa
dipendenza,  occorre ancora una volta descrivere il circuito  ‘nel
dominio delle frequenze’!
 Risulta  poi  comodo rappresentare l’andamento, al variare  della
frequenza, della funzione di trasferimento in un grafico del  tipo
di  quello riportato in figura 4; in essa si può vedere come tutte
le componenti dello spettro di un ipotetico segnale d’ingresso che
si  trovino fra le frequenze A e B vengano moltiplicate per 10 dal
circuito e presentate dunque amplificate in uscita,  mentre  altre
componenti dello spettro che si trovano o prima della frequenza  C
o  dopo  la  frequenza  D vengono moltiplicate  per  0  (e  dunque
annullate)  dallo  stesso  circuito. Se allora  il  segnale  utile
avesse  una ‘banda’ di frequenze compresa tra A e B, ed i disturbi
ad  esso sommati fossero invece situati al di sotto di C o  al  di
sopra  di D, si comprende come questo dispositivo sia in grado  di
far ‘filtrare’ in uscita il solo segnale utile: abbiamo realizzato
un  filtro!  l’insieme delle frequenze comprese nel  tratto  AB  è
detto  ‘banda  passante’ del filtro (che in questo  caso  è  detto
Passa  Banda),   il  tratto OC e quello da D in poi  costituiscono
invece  le Bande Attenuate. Particolare importanza riveste poi  la
pendenza  dei  tratti  CA  e BD: più è  ripida  e  migliore  è  il
comportamento  del  filtro (più netta è la separazione  tra  banda
attenuata  e banda passante); purtroppo non è possibile realizzare
i  tratti  CA e BD perfettamente verticali, e pertanto  un  filtro
reale  presenta  sempre una banda intermedia che viene  detta  ‘di
transizione’   e  che  è  la  causa,  ad  esempio,  della   scarsa
separazione tra le stazioni vicine ricevute da uno dei nostri RX.
 


Siamo  arrivati  al  dunque: come realizzare  un  filtro  che  si
avvicini  il  più possibile al comportamento ideale ? In  passato,
questi   circuiti  venivano  realizzati  con  componenti  discreti
(transistori,  resistenze, induttori e capacità) e le  prestazioni
che  se  ne  potevano  trarre (anche a fronte di  una  complessità
circuitale notevole) erano piuttosto scadenti (data soprattutto la
scarsa ripidità dei tratti CA e BD del grafico della loro funzione
di   trasferimento).  Oggi,  per  di  più,   i   segnali   vengono
principalmente  elaborati a livello digitale (e quindi  una  volta
campionati)  mentre i circuiti classici trattano soltanto  segnali
analogici.  Ebbene, lo schema di principio visibile  in  figura  5
mostra  l’architettura  di  uno dei più  semplici  filtri  che  si
possono  realizzare con tecniche digitali (ovverosia  che  possono
venire  realizzati via software a bordo di sistemi di DSP, anziché
con componenti discreti): il filtro trasversale.



 Esaminiamo la figura 5. In essa si vede come il segnale  x(t)  in
ingresso  attraversi in sequenza una serie di ‘linee di  ritardo’,
il  cui  effetto  è  appunto quello di dare in uscita  il  segnale
ricevuto  ma in ritardo di T secondi. All’uscita di ogni linea  di
ritardo, il segnale viene prelevato, moltiplicato per un opportuno
coefficiente  h, e sommato a tutti gli altri nel blocco  sommatore
rappresentato in basso. All’uscita del blocco sommatore si ottiene
l’uscita  y(t)  del filtro. Si può dimostrare che la  funzione  di
trasferimento  di  un  circuito  simile,  è  data  dalla   formula
seguente:
 


 nella  quale  f rappresenta la frequenza e j l’unità immaginaria.
La formula vista rappresenta ‘tutta’ la funzione di trasferimento,
nel  senso che occorre calcolarne il modulo (si tratta infatti  di
un  numero  complesso)  e  la fase per  avere  rispettivamente  la
risposta  di  ampiezza e di fase (e quindi per poter  costruire  i
grafici  simili  a  quelli di figura 4). Si  può  notare  come,  a
determinare  l’andamento della funzione, concorrano i parametri  h
(cioè  i  moltiplicatori  presenti nello schema  di  principio  di
fig.5), il ritardo delle linee T, il numero dei blocchi di ritardo
in cascata N. Agendo su queste grandezze, è praticamente possibile
realizzare qualunque andamento del grafico della figura 4  (tranne
quello  coi  tratti  CA  e  BD  perfettamente  verticali,  che   è
impossibile anche a livello teorico!) e quindi realizzare tutti  i
tipi di filtro desiderati (naturalmente occorre essere disponibili
ad  aumentare  la complessità del filtro, e cioè il  numero  N  di
blocchi  di ritardo...). Occorre prestare attenzione al fatto  che
il  grafico della caratteristica di ampiezza di un filtro siffatto
presenta un andamento periodico, ovvero la ‘forma desiderata’  del
grafico  si  ripete ad intervalli regolari (vedi fig.  6)  la  cui
ampiezza  dipende dal tempo di ritardo T introdotto  dalle  linee.
Questo significa che non e’ possibile realizzare un passa banda se
non  mettendo  in cascata al filtro trasversale un secondo  filtro
(ad   esempio   passa-basso)  che  tuttavia   non   necessita   di
caratteristiche  eccellenti;  se  infatti  si  progetta  la  parte
trasversale  del  filtro  in modo tale da  ottenere  un  diagramma
periodico  in cui le varie bande passanti si ripetono ma risultano
abbastanza distanziate, allora con un semplicissimo passa basso RC
si  riesce  già  a  selezionare solo la banda passante  desiderata
(vedi fig. 7).




 Un’ultima  annotazione per mettere in evidenza che questi  filtri
sono ‘implementabili’ senza grosse difficoltà in sistemi DSP, dove
le operazioni mostrate nella figura 5 sono quanto di più facile un
sistema  digitale  riesca a compiere sui numeri: prodotti,  somme,
ritardi  nella loro sequenza. Una catena di elaborazione  digitale
di   segnali,  infatti,  oggi   è  composta  da  un  circuito   di
campionamento,  da  una  sezione  di  elaborazione  digitale   dei
campioni    (ad    esempio   un   microprocessore   opportunamente
programmato)   e   da   un  convertitore  digitale/analogico   per
restituire  il risultato dell’elaborazione (se questo e’  di  tipo
analogico). Risulta allora particolarmente vantaggioso intervenire
direttamente  sui  dati campionati laddove occorra  un  filtraggio
efficiente,  e  l’architettura  vista  ben  si  presta  a   questa
operazione.




   Copyright 1995 by Diego Armari - IW4DN
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Ultimo aggiornamento: 06-01-07